Legge fallimentare, approvata la riforma. Cosa cambia

Addio a falliti e fallimenti e via alla liquidazione giudiziale, una procedura più rapida ed efficace per la soluzione delle crisi d’impresa.

Il Senato ha approvato con 172 voti e 34 contrari la legge delega per la riforma del diritto fallimentare, datato 1942. ‘Un contributo per un’economia più sana che aiuterà la crescita’, sottolinea il premier, Paolo Gentiloni, a conclusione di un iter relativamente breve della legge, cui ora dovranno seguire i decreti legislativi di attuazione. Soddisfatto anche il ministro della Giustizia Andrea Orlando che spiega si tratta di una riforma di portata epocale perché ci allineiamo all’Europa, diamo trasparenza alle procedure, evitiamo quelle zone di opacità e soprattutto cambia la figura del fallito.

Tra le novità: si anticipano le procedure di allerta, si cerca di prevenire il rischio default quando è ancora possibile e si colma la lacuna che riguardava i gruppi di imprese.

 La parola fallimento sparirà dall’ordinamento giudiziario italiano (come il fallito sparirà dalle cronache) e verrà sostituita dalla liquidazione giudiziale. A guidare il nuovo processo sarà il curatore, con poteri molto maggiori rispetto ad oggi: accederà più facilmente alle banche dati della Pa, potrà promuovere le azioni giudiziali spettanti ai soci o ai creditori sociali, sarà affidata a lui, anziché al giudice delegato,  la fase di riparto dell’attivo tra i creditori. La liquidazione deve concludersi entro tre anni dall’apertura della procedura con la completa liberazione dei debiti dell’imprenditore.

Per facilitare una composizione assistita, arriva una fase preventiva di allerta attivabile direttamente dal debitore o d’ufficio dal tribunale su segnalazione (obbligatoria per fisco e Inps) dei creditori pubblici. In caso di procedura su base volontaria, il debitore sarà assistito da un apposito organismo istituito presso le Camere di commercio e avrà 6 mesi di tempo per raggiungere una soluzione concordata con i creditori. Se la procedura è d’ufficio, il giudice convocherà immediatamente, in via riservata e confidenziale, il debitore e affiderà a un esperto l’incarico di risolvere la crisi trovando un accordo entro 6 mesi con i creditori. L’esito negativo della fase di allerta è pubblicato nel registro delle imprese. L’imprenditore che attiva tempestivamente l’allerta o si avvale di altri istituti per la risoluzione concordata della crisi godrà di misure premiali (non punibilità dei delitti fallimentari se il danno patrimoniale è di speciale tenuità, attenuanti per gli altri reati e riduzione di interessi e sanzioni per debiti fiscali). Dalla procedura d’allerta sono escluse le società quotate e le grandi imprese.

 Nel trattare le proposte, priorità viene data a quelle che assicurano la continuità aziendale, purchè funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori, considerando la liquidazione giudiziale come extrema ratio. Si punta poi a ridurre durata e costi delle procedure concorsuali (responsabilizzando gli organi di gestione e contenendo i crediti prededucibili). Il giudice competente sarà individuato in base alle dimensioni e alla tipologia delle procedure concorsuali, assegnando in particolare quelle relative alle grandi imprese al tribunale delle imprese a livello di distretto di corte d’appello.

Il limite del 60% dei crediti per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti dovrà essere eliminato o quantomeno ridotto.

 Viene ridisegnato ammettendo, accanto a quello in continuità, anche il concordato che mira alla liquidazione dell’azienda se in grado di assicurare il pagamento di almeno il 20 per cento dei crediti chirografari.

Arriva una procedura unitaria per la trattazione della crisi e dell’insolvenza delle società del gruppo e, anche in caso di procedure distinte, vi saranno comunque obblighi di collaborazione e reciproca informazione a carico degli organi procedenti.

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