La protesta dei tassisti

La vicenda che contrappone i conducenti di auto pubbliche e il ‘Noleggio con conducente’ rappresenta la mancata regolamentazione di un servizio diretto ai cittadini e ai consumatori.

Si prende un taxi, si va a destinazione e si paga quanto l’importo indicato sul tassametro. Il settore è  regolamentato, con piccoli ‘padroncini’,  o  soci di una cooperativa, sempre obbedendo a regole precise.

Questo principio dovrebbe essere applicato a tutti quelli che svolgono questo tipo di attività, ma non è cosi per i conducenti legati al servizio Ncc o di Uber.

A differenza dei ‘colleghi’ tassisti, il conducente di Uber non è sottoposto a particolari discipline, è libero di applicare la tariffa che vuole, non rilascia scontrino o fattura, non ha una licenza da pagare per entrare nel settore, non è sottoposto a visite mediche periodiche, l’automobile non viene sottoposta a controlli particolari.

Differenze che imporrebbero normative capaci di regolamentare e di identificare le caratteristiche dei due servizi. Sono anni che periodicamente scoppia la protesta dei tassisti, invece di affrontare il problema, si preferisce non intervenire e rimandare continuamente provvedimenti che sono urgenti da qualche tempo. Si lascia alla piazza, allo sciopero e alle agitazioni la manifestazione dello scontento, sapendo che strumentalizzazioni di ogni genere si insidiano in questi movimenti, legittimi, di protesta.

Lasciando le cose senza regole il fenomeno si è allargato e le auto Uber girano di continuo, sostituendo ed integrandosi al servizio delle auto pubbliche.

I Comuni sono i titolati a concedere le licenze e spesso la natura corporativa della categoria ha impedito l’estensione e il miglioramento del servizio. Le istituzioni locali possono fare molto: sono anche regolatori, sono i primi responsabili di un servizio che non è più all’altezza, alcuni standard qualitativi dovrebbero essere normali, il consumatore, il cliente deve essere messo in condizioni di non avere sorprese, devono aumentare i controlli, far ricorso al ‘finto cliente’, non per sanzionare, ma verificare la costante qualità nel tempo del servizio.

A Milano il comune ha messo a disposizione un numero unico, pubblico gratuito, per migliorare il servizio e contrastare l’oligopolio delle compagnie che gestiscono i numeri per le chiamate, ai quali i conducenti sono ‘obbligati’,  pagando,  ad aderire perché ne va del loro lavoro.

Ultima questione riguarda la licenza di conducente. La licenza è un investimento per la vita: si subentra ad un collega, visto che è difficile averne di nuove,  investendo un’ingente somma di denaro, di conseguenza cedendola si trasforma nella liquidazione dopo anni di attività.

Deve essere  chiaro che questa precondizione per Uber non è prevista, che in assenza di tassametro non c’è certezza del reddito prodotto e di conseguenza della congruità delle tasse pagate e del regolare versamento della contribuzione pensionistica.

Sembra che gli autisti di Uber siano lavoratori non inquadrati, surrettiziamente alle dipendenze di un padrone che non hanno mai visto, con il quale hanno costituito un rapporto semplicemente aderendo ad una piattaforma internazionale, con sede fuori dai nostri confini, applicando un sistema fiscale che non rende giustizia alle nostre normative in materia di imposte.

La mancata regolazione del sistema arreca danno ai consumatori e crea nuove disgregazioni nel mondo del lavoro.

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