La previsione sul Pil è di quelle che fa godere i Governi come il nostro a caccia di segnali di conforto: +1,4%. Poi, arriva anche una doccia tiepida con un 2018 all’1,3% ed un 2019 all’1,2%. Un calando dovuto alle incertezze tuttora presenti su vari fronti.

La crescita europea, +1,9%, condanna  in questo caso l’economia italiana a ruoli di retroguardia. La nostra resta, insomma, una economia ‘piccola’ nel vecchio Continente anche per la deriva timida dell’inflazione, inferiore da noi attualmente di uno 0,4% rispetto a quella non esaltante della media europea..

Certo le attese di famiglie ed imprese migliorano, ma i punti deboli che il bollettino si guarda bene dall’enfatizzare, ci sono. Se, infatti, le imprese hanno accumulato un’alta disponibilità di liquidità mentre procede l’accumulazione di capitale, la dinamica degli investimenti privati resta modesta se pure in rialzo: nel 2016 il balzo è stato del 3,9%, quest’anno dovrebbe essere del 2,8%.

 Confindustria,  che solo pochi mesi fa,  era intenta a smontare le ragioni, anche salariali, dell’esistenza in vita dei contratti nazionali. Poi, puntualmente, rinnovati dalle categorie.

Buone notizie, forse, anche sull’andamento della occupazione. Bankitalia lo vede in rafforzamento,  peccato che nel frattempo il numero dei lavoratori autonomi si assottiglia e che la spinta maggiore torni ad essere quella dei contratti a termine (+2,1%), rispetto a quella del lavoro stabile (+0,2%).

I miglioramenti ci sono ma sub iudice: senza un rilancio forte degli investimenti pubblici e privati, strategie economiche degne di questo nome, politiche attive del lavoro vigorose, non si va da nessuna parte.

Quella che viviamo è una forte inversione di tendenza  ma non dobbiamo dimenticare che aumentano i divari. Solo un 20 per cento delle imprese partecipa davvero e attivamente a questa nuova stagione di crescita mentre un 60 per cento si trova in mezzo al guado e il restante 20 deve ancora fronteggiare la crisi.

La diversa percezione dipende dai divari che esistono tra cittadini, Paesi, giovani e anziani, città e provincia. La crescita è solo una precondizione e non un fine essendo quest’ultimo il contrasto convinto di disuguaglianze e povertà. E per colmare i divari occorre costruire una grande stagione del lavoro e della competitività.

Le criticità che dobbiamo fronteggiare sono tante: dal global tax rate maggiore di 20 punti rispetto alla Germania, al 30 per cento in più di costo dell’energia, dal costo del lavoro aumentato del 30 per negli ultimi 15 anni  ai tempi della giustizia condizionata da regole dogmatiche, dalla burocrazia poco collaborativa ai bassi investimenti pubblici.

‘La prima cosa è non delegittimare le cose buone fatte come i super ammortamenti e gli iper-ammortamenti di Industria 4.0. Poi occorre attivare senza indugio gli investimenti pubblici anche attraverso il contratto di programma con l’Anas e portare a termine il percorso per l’applicazione delle misure a favore delle imprese energivore. Nel medio termine occorre puntare sempre più sulla politica dei fattori che premia l’offerta: più investimenti, più export, più occupazione, più domanda. Alle imprese tocca cavalcare la quarta rivoluzione industriale che è prima di tutto un processo culturale per giungere a un’industria ad alto valore aggiunto, alta intensità di investimenti, alta intensità di produttività e che sia eccellente in ogni funzione aziendale. Possiamo contare sui tanti strumenti oggi disponibili per crescere anche senza debito, per esempio partecipando alla piattaforma Elite, o perfino restando piccoli, attraverso i contratti di rete’, osserva il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia.