Fotogrammi

Per l’una è la prima mostra, il suo lavoro intimo e irrinunciabile diviene ora fatto collettivo, oggetto di giudizio e di affetto. Per l’altra è un gradito “ritorno” in Italia, mentre sempre più si afferma nella sua seconda patria, la Spagna, sede del suo atelier. E per l’una e l’altra, Mafalda Guarente e Beatrice Zagato, è avventura dello spirito “mettere in scena” le proprie opere insieme, far sì che si guardino come in uno specchio fatato, ciascuna un istante irripetibile di un’unica narrazione, sotto l’attenta regia del gallerista Fabio Cozzi.  La nuova esposizione-evento romana si chiama “Fotogrammi”, e sarà inaugurata alla Galleria Michelangelo di Roma  venerdì 7 novembre prossimo.  In “Fotogrammi”,  che presenterà Guarente e Zagato rispettivamente attraverso i testi critici di Otello Lottini e Barbara Codogno,  ogni quadro è uno scatto che cattura lo spazio e se ne impossessa, ferma il tempo e lo mette in attesa, così che percorrere ad un solo sguardo le due serie di opere è privilegio particolare, che interroga il gusto di chi guarda ma anche il suo vissuto. L’astrazione caldissima di Zagato, che con le linee dei palmi delle mani crea vortici e sinuosità immancabilmente scavando un percorso di emozioni, dialoga con le geometrie scomposte e le figure frattali di Guarente, omaggio volontario e trasfigurante all’arte futurista che fonde protagonisti e sfondo nelle sfumature di colore e chiama l’immaginario collettivo a diventarne co-autore. Una mostra e soprattutto la prima mostra,  racconta Mafalda Guarente, è come un esordio in palcoscenico. L’ansia, la tensione, l’emozione sono le stesse. Nell’esporre le  proprie opere, però, in più si avverte, secondo me,  anche la  sensazione di andare a svelare le parti più profonde di sé stessi. Ora che mi avvicino al giorno della inaugurazione, provo il timore di far scoprire agli altri  tutto quello paradossalmente proprio io voglio fare uscire”. Fotogrammi”,  aggiunge Beatrice Zagato,  richiama “l’idea di un’ istantanea ovvero uno scatto con cui noi cerchiamo di fissare un’ immagine, affinché non sfugga quel particolare momento o cosa che abbiamo di fronte e stiamo vivendo, mantenendone così il ricordo e allo stesso tempo  facendola nostra per sempre. Quello scatto ci trasforma da spettatori ad artefici.  Tutto ciò ha a che fare con il tempo, e di conseguenza con lo spazio: anche la mia pittura. Nello scatto noi immobilizziamo il tempo, in modo tale da poter far perdurare infinitamente un solo attimo”.

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