Fiori giapponesi

Da martedì 7 a domenica 12 aprile 2015 torna in scena al Ridotto del Mercadante di Napoli  lo spettacolo Fiori giapponesi, dall’omonimo libro di Raffaele La Capria, con musica e regia di Paolo Coletta, secondo appuntamento della rassegna L’armonia perduta dedicata allo scrittore napoletano. Nelle scene di Luigi Ferrigno, i costumi di Zaira de Vincentiis e il disegno luci di Gigi Saccomandi recitano e cantano Mario Autore, Daniela Fiorentino, Massimiliano Foà, Mercedes Martini. In linea con la ricerca cara al regista di teatro musicale, la messinscena raccoglie nove dei cinquantacinque “raccontini” che compongono il libro, riproposti in forma di piccola opera buffa contemporanea per quattro attori/cantanti: due donne e due uomini. Nove parabole, a volte comiche a volte tragiche, ma immancabilmente leggere, sull’amore, il dolore, l’adolescenza, la vita che sfugge, la ricerca della felicità, con sullo sfondo, come fosse il ricordo di un brutto sogno, gli anni di Piombo durante i quali i Fiori vennero scritti. I Fiori giapponesi,  dichiara Paolo Coletta,  definiti dall’autore ‘pezzi facili’, oltre a possedere il crisma della leggerezza ed esserne prestigiosi esemplari in letteratura qualche anno prima che Italo Calvino ridefinisse i confini di quel valore nelle sue celeberrime lezioni ad Harvard, danno sì l’impressione di lasciarsi ‘suonare‘ senza troppi problemi da mani meno esperte, ma anche di destare interesse nel più abile degli interpreti. Pezzi facili, appunto, ma mai scontati né convenzionali. Equilibrio e armonia sorreggono questo meraviglioso catalogo di incertezze solitarie o condivise, in cui è possibile trovare innumerevoli corrispondenze con il Teatro Musicale: voci e timbri che creano colori inattesi, dinamiche non consuete, ma anche temi, piccole frasi, motivi ricorrenti: tutti elementi del tessuto narrativo lacapriano che riportano alla pratica mozartiana della concertazione. «Ora da soli, ora in due, ora in coro  i personaggi di questa ‘rapsodia‘ sull’imponderabilità delle umane vicende non hanno il tempo di perder tempo a descriversi o a descrivere il proprio mondo: vanno dritti incontro al loro destino contro ogni teoria deterministica, come movimenti di una sonata classica: guidati semmai da una forma, sicuramente non da una precisa causa. In questo senso c’è poco da domandarsi come possano convivere al loro interno il sense of humour con un costante clima di minaccia, l’ironia con la serietà del male, la felicità con il dolore: ogni sentimento ha diritto di cittadinanza nell’inventario di infinite e mutevoli identità presenti in questo libro».

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