Epatite C, a Vienna confermata l’efficacia dei nuovi farmaci

Al 50° Congresso EASL di Vienna presentato un vasto programma di studi clinici, tra i quali lo studio di fase 3 C-EDGE, con tassi elevatissimi di risposta virologica a 12 settimane del 92-97%, e gli studi C-SURFER e C-SALVAGE, che confermano l’efficacia della combinazione grazoprevir/elbasvir in tutti i pazienti, anche difficili, come quelli con cirrosi, co-infezione HIV-HCV, insufficienza renale cronica/dialisi e precedente fallimento della terapia,  anche con inibitori di proteasi di prima generazione. La terapia dell’epatite C ha fatto passi da gigante negli ultimi anni, ma la ricerca non si ferma perché sono ancora molti i bisogni medici non soddisfatti. Grazoprevir/elbasvir, un regime semplice in monosomministrazione giornaliera,  interferon-free e ribavirin-free nella maggior parte dei casi, con cicli terapeutici brevi  e un favorevole profilo di tollerabilità, rappresenta la risposta a molti di questi bisogni. Un’unica pillola, una sola volta al giorno, per una terapia multigenotipica, efficace in tutti i pazienti, anche i più difficili, sicura, ben tollerata e con la stessa breve durata di trattamento per la maggior parte delle  terapie. Un’unica pillola che ha ottenuto tassi elevatissimi di risposta virologica a 12 settimane in tutte le categorie di pazienti studiati, inclusi i cosiddetti pazienti cirrotici, con co-infezione HIV-HCV, con insufficienza renale avanzata o che in precedenza avevano fallito la terapia anche con inibitori della proteasi di prima generazione. I due farmaci multigenotipici, in un regime simmetrico, interferon-free e ribavirin-free in quasi tutti i trattamenti, presentano inoltre un elevato profilo di sicurezza e tollerabilità con scarse interazioni farmacologiche.   La terapia dell’epatite C ha fatto passi da gigante negli ultimi anni, ma la ricerca non può fermarsi perché sono ancora molti i bisogni medici non soddisfatti: il cosiddetto “pill burden”, ossia l’assunzione di troppe pillole, i regimi terapeutici molto complicati, lunghi, asimmetrici ed efficaci solo su alcuni genotipi; e la gestione del paziente è ancora piuttosto complessa nelle cosiddette popolazioni ‘difficili’. A molti di questi bisogni clinici la combinazione grazoprevir/elbasvir è in grado di fornire una soluzione definitiva. In tutte le categorie di pazienti con HCV cronica trattati con grazoprevir/elbasvir sono stati raggiunti elevati tassi di risposta terapeutica, che nella maggioranza dei casi sono risultati superiori al 95%, ovvero, in più di 9 pazienti su 10 il virus è stato eradicato definitivamente. Fino ad oggi, le nuove molecole antivirali erano state studiate su piccoli numeri di pazienti e molto spesso sovrapponendo differenti categorie degli stessi, afferma Savino Bruno, Professore straordinario alla Humanitas University Medicine di Rozzano (Milano),  pertanto la loro affidabilità in termini statistici era molto debole. Invece, la combinazione grazoprevir/elbasvir, che già in fase 2 aveva dato buoni risultati, è stata sperimentata in fase 3 su numeri più grandi e includendo per singoli studi categorie omogenee di pazienti e inoltre anche categorie mai precedentemente studiate quali i pazienti con insufficienza renale terminale in dialisi, arruolati in uno studio specifico.  Uno dei risultati più interessanti che abbiamo osservato durante il Congresso,   dichiara Gloria Taliani, Professore ordinario di Malattie infettive alla Sapienza Università di Roma,  è rappresentato dalla percentuale di eradicazione di HCV che la combinazione grazoprevir/elbasvir ha permesso di raggiungere nei pazienti con insufficienza renale, assicurando un profilo di sicurezza e tollerabilità del tutto simile a quello del paziente con normale funzione renale: una percentuale di risposta antivirale completa del 93,4%». La percentuale di risposta antivirale arriva addirittura al 99% nella popolazione di pazienti preselezionata per l’analisi dei dati di efficacia.  La combinazione grazoprevir/elbasvir ha dimostrato efficacia anche nei pazienti con HCV genotipo 1 che hanno fallito la terapia con altri antivirali diretti, in particolare inibitori di proteasi di prima generazione, inclusi nello studio C-SALVAGE: in questa popolazione di pazienti i tassi di risposta virologica sostenuta sono arrivati al 96%. Sono molte buone quindi le prospettive future per molte categorie di pazienti con epatite C, grazie alla prossima disponibilità di terapie sempre più efficaci e potenti. Ma il rischio è che l’accesso alle cure sia limitato e disomogeneo perché almeno 50-60.000 persone hanno urgente bisogno di essere trattati, per lo stadio già avanzato della loro malattia epatica. Potenzialmente, nei prossimi due anni dovranno essere curati non meno di 100.000 pazienti. Questo bisogno pressante si scontra però con una rilevante disomogeneità nell’accesso alle cure da Regione a Regione.

Clementina Viscardi

 

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