Doppio gioco e tentata bigamia

Commento alla Sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 10.08.2016, n. 34800, pronuncia recentissima con cui è stato specificato un principio basilare che esclude il reato di tentata bigamia nell’ipotesi di un soggetto che, spacciandosi per ‘single’ quando invece era regolarmente coniugato secondo l’ordinanza ti nazionale, per mesi ha intrattenuto una relazione con un’altra donna persuadendola della propria condizione di ‘uomo libero’. L’agente ha intrattenuto una relazione sentimentale con una donna, convinta che il medesimo fosse ormai divorziato, circostanza artatamente ‘provata’ alla ignara vittima del reato anche attraverso l’esibizione di certificati di matrimonio difformi dall’originale e riprodotti con un computer.Totale la convinzione della donna, comprensibile visto che era stata convinta che già erano state attivate le procedure per un nuovo matrimonio così da indurla addirittura a concepire un figlio. Scoperto ‘il doppio gioco’, la donna denunciava il compagno per tentata bigamia, reato che veniva riqualificato dal Giudice di primo grado come sostituzione di persona, portando alla condanna dell’uomo. In tale ambito interviene la sentenza richiamata nell’estratto dell’articolo in commento che si riporta di seguito:

 

“REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Presidente: VESSICHELLI MARIA

Relatore: MORELLI FRANCESCA

ha pronunciato la seguente:

Sentenza n. 34800 dep. Il 10 agosto 2016

RITENUTO IN FATTO

  1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Milano ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Milano del 22.4.14 assolvendo A.P. dal delitto di falso contestato al capo b), in relazione alla dichiarazione di nullità matrimoniale del Tribunale Apostolico, perché il fatto non sussiste e rideterminando la pena in ordine ai residui reati di falso per cui era intervenuta condanna in primo grado, con conferma delle statuizioni in favore delle parti civili.

1.1. A.P. era stato tratto a giudizio avanti al Tribunale per rispondere delle imputazioni di tentata bigamia e di falso in atti pubblici, in certificazioni dello stato civile e scritture private; il giudice di primo grado aveva riqualificato i fatti ritenendo configurabili le fattispecie di sostituzione di persona e falso materiale in atti pubblici.

1.2. I fatti sono incontestati ed attengono al rapporto fra A.P. e M.M. ; l’uomo, sposato, aveva intrapreso una relazione con la M.M. dicendole di essere separato dalla moglie, di avere chiesto il divorzio e di avere concrete prospettive di un annullamento da parte della Sacra Rota, sicché erano iniziati i preparativi del matrimonio, con rito religioso, fra i due ed era stato concepito un figlio; qualche mese più tardi, insospettiti per il ritardo, da parte del A.P., nel presentare la documentazione attestante il divorzio e l’annullamento del primo matrimonio, la M.M. e i genitori avevano effettuato autonome indagini ed avevano scoperto che l’uomo non soltanto non si era mai separato dalla moglie ma aspettava un figlio anche da lei.

1.3. Il Tribunale aveva ritenuto che la condotta del A.P. non fosse univocamente indirizzata a contrarre un matrimonio avente effetti giuridici in costanza di un altro vincolo matrimoniale anch’esso con effetti civili, quanto piuttosto fosse diretta ad illudere la M.M. di essere libero, allo scopo di continuare la relazione sentimentale con costei; di qui la riqualificazione del fatto, originariamente contestato come tentata bigamia, in sostituzione di persona.

1.4. La Corte d’Appello rigetta le censure del gravame in ordine alla asserita violazione degli artt.521 e 522 c.p.p. per quanto riguarda la riqualificazione del fatto contestato al capo a) dell’imputazione e, quanto ai reati di falso, attribuisce la qualifica di falso grossolano soltanto alla contraffazione della dichiarazione di nullità matrimoniale del Tribunale Apostolico, confermando la pronuncia di responsabilità in ordine agli altri addebiti .

  1. Propone tempestivo ricorso il difensore di fiducia dell’imputato deducendo violazione di legge e vizi motivazionali ed, in particolare,:

– la violazione degli artt.521 e 522 c.p.p. con riferimento alla condanna per il capo a)

– l’erronea applicazione dell’art.494 c.p. e vizi motivazionali quanto al riconoscimento di responsabilità per il reato di sostituzione di persona – l’erronea applicazione degli artt. 476 e 482 c.p. e vizi motivazionali quanto alla condanna per i falsi contestati al capo b)

– vizi motivazionali quanto alla mancata applicazione dell’art.62 bis c.p. Ed all’omessa motivazione sul trattamento sanzionatorio – vizi motivazionali quanto al mancato accoglimento dell’appello avverso le statuizioni civili disposte in primo grado, compresa la richiesta di revoca della provvisoria esecutività della somma liquidata dal primo giudice.

2.1. Con riguardo al primo motivo, si sostiene che il giudice d’appello ha ritenuto legittimo il mutamento della qualificazione giuridica del fatto partendo dal presupposto che il fatto posto alla base della contestazione di tentata bigamia sia identico a quello su cui si è fondata la condanna per sostituzione di persona, mentre, a detta della difesa, il tentare di sposarsi senza riuscirci per cause indipendenti dalla propria volontà è un fatto diverso da quello di voler mantenere in vita una relazione extraconiugale ricorrendo a continue menzogne.

Ci troveremmo, quindi, di fronte ad una vera a propria antitesi comportamentale, laddove, addirittura, la finalità dell’agente rileva ai fini del dolo specifico richiesto dall’art.494 c.p.

2.2. Nel secondo motivo si contesta la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di sostituzione di persona, posto che la mera volontà di assecondare o non irritare il proprio partner ricorrendo all’inganno non integra il vantaggio richiesto dalla norma, quale elemento costitutivo del reato, a titolo di dolo specifico.

Peraltro, la sentenza d’appello erra, secondo la difesa, nel ritenere che tale vantaggio risulti integrato dall’avere iniziato e mantenuto una relazione sentimentale, posto che il rapporto fra A.P. e la M.M. era iniziato nel 2006, quando l’uomo era, pacificamente ed anche agli occhi della M.M., sposato e non era per nulla provato che la relazione si sarebbe interrotta qualora la donna avesse saputo che il compagno non aveva ancora divorziato.

2.3. Con il terzo motivo si censura la conferma della condanna per i, residui, reati di falso contestati al capo b).

Da un lato si contesta che gli atti redatti dal A.P. possano essere qualificati come atti pubblici ( trattandosi di atti inseriti nel fascicolo del parroco che avrebbe dovuto celebrare la nozze -impossibili- con la M.M.) e, dall’altro, se ne riconosce la natura di falso grossolano, in quanto non avevano tratto in inganno neppure il parroco, che aveva congelato la pratica proprio per la manifesta inidoneità della documentazione fornita da A.P..

2.3. Si evidenzia, infine, con il quarto motivo di ricorso, l’omessa o insufficiente motivazione circa la mancata concessione delle attenuanti generiche e la eccessività della pena, nonché, con il quinto, in ordine alle censure svolte nell’appello con riguardo alle statuizioni civili.

  1. Con una memoria depositata il 26.5.16, il difensore delle parti civili, M.M. , M.M. Sebastiano e Fortuna Giovanna, replica alle argomentazioni del ricorso.

3.1. Quanto al primo motivo, si sostiene non esservi stata violazione del principio di correlazione fra l’imputazione e il reato riconosciuto in sentenza, atteso che il fatto non può dirsi diverso e che, fra le condotte contestate al A.P. nell’imputazione, vi era anche quella di avere costantemente dissimulato il proprio stato di uomo sposato e di avere falsamente rappresentato alla persona offesa di avere ottenuto il divorzio, vale a dire proprio le condotte che ricalcano la fattispecie di cui all’art.494 c.p.nella parte in cui si rappresenta un proprio falso stato.

D’altronde, non vi sarebbe stata violazione del contraddittorio, essendo stato posto, l’imputato, in grado di interloquire pienamente in ordine ai fatti contestati.

Si osserva, da ultimo, che la riqualificazione dei fatti è avvenuta in senso favorevole al ricorrente, viste le più ridotte sanzioni previste per il reato di sostituzione di persona rispetto a quello di tentata bigamia originariamente contestato.

3.2. Si afferma, in replica al secondo motivo di ricorso, che è pienamente configurabile il reato di cui all’art.494 c.p. che è a forma libera e sorretto dal dolo ravvisabile nella volontà, da parte dell’imputato, di mantenere il più possibile la relazione con la M.M..

3.3. Si esaminano, poi, specificamente gli atti posti a fondamento della condanna per falso materiale in atto pubblico per escludere la possibilità di invocare il falso grossolano e si sottolinea, a confutazione delle tesi esposte nel ricorso, che il parroco che aveva formato il fascicoletto di atti prodromici alla celebrazione delle nozze era stato anch’egli indagato per distruzione di documenti, di tal che la sue dichiarazioni dovevano essere valutate con estrema cautela.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. La diversa qualificazione del fatto contestato al capo a) dell’imputazione non viola il principio enunciato nell’art.521 co.1 c.p.p. nei termini in cui è stato costantemente interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui ” La nozione di “fatto” di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. va intesa quale accadimento di ordine naturale, nelle sue connotazioni oggettive e soggettive; ne consegue che, per aversi “mutamento del fatto”, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta, che non consenta di rinvenire, tra il fatto contestato e quello accertato, un nucleo comune identificativo della condotta, riscontrandosi invece un rapporto di incompatibilità ed eterogeneità che si risolve in un vero e proprio stravolgimento dei termini dell’accusa a fronte del quale si verifica un reale pregiudizio dei diritti della difesa. (Sez. 2, n. 45993 del 16/10/2007 Rv. 239320 ).

Diversamente da quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, che pone l’accento sulla diversità dell’elemento soggettivo fra il reato di tentata bigamia e quello di sostituzione di persona, la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza sussiste solo quando, nella ricostruzione dei fatto posta a fondamento della decisione, la struttura dell’imputazione sia modificata quanto alla condotta, al nesso causale ed all’elemento soggettivo del reato, al punto che, per effetto delle divergenze introdotte, la difesa apprestata dall’imputato non abbia potuto utilmente sostenere la propria estraneità ai fatti criminosi globalmente considerati. (Sez. 6, n. 34879 del 10/01/2007 Rv. 237415).

Val altresì considerato che “Ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’art. 521 cod. proc. pen. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sull’intero materiale probatorio posto a fondamento della decisione” (Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013 Rv. 254419).

Si può quindi conclusivamente ritenere che, in tanto si può parlare di mutamento del fatto, in quanto si sia determinata un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione, da cui sia derivato un effettivo pregiudizio dei diritti della difesa, mentre non vi è violazione dei principi di cui all’art.521 c.p.p. quando l’imputato sia stato posto in grado di difendersi.

Nell’ambito del processo di primo grado si è minuziosamente indagato l’elemento psicologico in capo all’imputato e non si può certo sostenere che il tipo di condotta che qualifica l’elemento oggettivo del delitto di sostituzione di persona sia rimasta estranea al giudizio ed ignota all’imputato, posto che nell’imputazione originariamente rubricata sub artt. 56, 556 co.2 c.p. è contestata, fra l’altro, la condotta di avere formato degli atti materialmente falsi attestanti il proprio stato di divorziato e l’annullamento del precedente matrimonio religioso dal Tribunale della Sacra Rota nonché di avere costantemente dissimulato il proprio stato di uomo sposato, tuttora convivente con il coniuge ed il nucleo familiare, e di avere falsamente rappresentato alla persona offesa di avere ottenuto il divorzio e di volerla sposare.

Si tratta, all’evidenza, della medesima condotta ritenuta provata e posta a fondamento del giudizio di responsabilità quanto al diverso reato di sostituzione di persona.

1.1.Neppure può essere prospettata la violazione dei principi posti nella sentenza della Corte EDU nel proc.Drassich c.Italia, dal momento che il mutamento della qualificazione giuridica del fatto è avvenuto nel giudizio di primo grado, sicchè l’imputato è stato posto in grado di difendersi nel merito nel giudizio di appello e, comunque, valgono i principi affermati da Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015 Rv. 264438 “L’attribuzione all’esito del giudizio di appello, pur in assenza di una richiesta del pubblico ministero, al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione non determina la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell’art. 111, secondo comma, Cost., e dell’art. 6 della Convenzione EDU come interpretato dalla Corte europea, qualora la nuova definizione del reato fosse nota o comunque prevedibile per l’imputato e non determini in concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novità che da quel mutamento scaturiscono”.

  1. Al fine di analizzare compiutamente le censure svolte nel ricorso in merito alla ritenuta configurabilità del delitto dì sostituzione di persona e non piuttosto di una condotta esecrabile sul piano M.M. ma non penalmente rilevante, vale la pena di ripercorrere sinteticamente gli accadimenti, così come ricostruiti dai giudici di merito.

Nel 2006 M.M. e A.P. iniziano una relazione, la donna apprende dall’uomo che è separato dalla moglie; il 27.9.06 A.P. annuncia alla compagna di avere chiesto il divorzio dalla moglie; nel 2007 i due decidono di vivere insieme presso l’abitazione della donna, che viene presentata alla sorella dell’imputato come sua fidanzata; nel 2009 M.M. rappresenta al compagno il desiderio di unirsi a lui in matrimonio religioso, costui acconsente e la rassicura che, attraverso gli appoggi del padre, potrà ottenere l’annullamento del precedente matrimonio; nel settembre 2009 A.P. annuncia alla compagna di avere ottenuto il divorzio ed iniziano i preparativi per il matrimonio religioso; i due fidanzati frequentano un corso prematrimoniale presso una parrocchia di Milano, con inizio il 6.10.09; A.P. riferisce al parroco di essere divorziato e di avere ottenuto l’annullamento del matrimonio religioso da parte del Tribunale della Sacra Rota; il 22.11.09 il corso prematrimoniale termina e viene fissata la data del matrimonio per il 10.4.10, vengono predisposte le partecipazioni; il 20.3.10 A.P., a seguito delle incalzanti domande della compagna, incinta, che non era riuscita ancora ad incontrare i futuri suoceri, ammette di non avere mai chiesto l’annullamento del matrimonio ma conferma di essere divorziato e di volere sposare la donna con rito civile; nei giorni successivi la M.M., approfondite le ricerche, sorprende l’uomo all’uscita della sua casa coniugale ed apprende che non si è mai neppure separato ed, anzi, attende un figlio dalla moglie; segue immediatamente la rottura del rapporto.

2.1. L’art.494 c.p. sanziona, fra l’altro, la condotta di chi, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare un danno, si attribuisca un falso nome o un falso stato o una falsa qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici.

La condizione di uomo libero o sposato o divorziato o non più legato da un matrimonio religioso annullato dalla Sacra Rota rappresenta certamente uno status dell’individuo, a cui, fra l’altro, la legge attribuisce effetti giuridici ( senza volere, con ciò, confondere i termini della norma, in quanto, ai fini di integrazione del reato, ha rilevanza l’attribuzione di un falso stato tout court mentre è soltanto in relazione alla falsa qualità che viene richiesto l’ulteriore requisito per cui deve trattarsi di una qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici).

E’ quindi provato che A.P. si attribuì, negli anni, un falso stato di uomo libero ( dapprima separato, poi divorziato, poi non più legato da matrimonio religioso) e sul punto non pare vi siano contestazioni neppure da parte della difesa, che nega, invece, la sussistenza dell’ulteriore elemento rappresentato dal fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio.

Si sostiene che l’iniziare una relazione affettiva ed il mantenerla non costituisce un vantaggio a cui la legge attribuisca una tutela giuridica.

Il delitto di sostituzione di persona appartiene al novero dei delitti contro la fede pubblica ma ha natura plurioffensiva, in quanto tutela anche gli interessi del soggetto privato nella cui sfera giuridica l’atto ( nel nostro caso l’attribuzione del falso stato) sia destinato ad incidere concretamente.

Il delitto si consuma nel momento in cui taluno è indotto in errore con i mezzi indicati nella norma a prescindere dal fatto che il vantaggio avuto di mira dall’agente sia stato o meno conseguito.

La nozione di vantaggio è stata interpretata dalla giurisprudenza della Corte di legittimità in termini piuttosto ampli, riconnprendendo qualunque forma di vantaggio, anche lecito e di natura non patrimoniale (Sez. 5, Sentenza n. 182 del 03/02/1970 Rv. 115024).

Da ultimo si è ritenuto che:

“Integra il delitto di sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.) la condotta di colui che crea ed utilizza un “profilo” su social network, utilizzando abusivamente l’immagine di una persona del tutto inconsapevole, associata ad un “nickname” di fantasia ed a caratteristiche personali negative. (In motivazione, la Corte ha osservato che la descrizione di un profilo poco lusinghiero sul “social network” evidenzia sia il fine di vantaggio, consistente nell’agevolazione delle comunicazioni e degli scambi di contenuti in rete, sia il fine di danno per il terzo, di cui è abusivamente utilizzata l’immagine)” Sez. 5, n. 25774 del 23/04/2014 Rv. 259303 “Integra il delitto di sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.) la condotta di colui che si attribuisca un falso nome in modo da poter avviare una corrispondenza con soggetti che, altrimenti, non gli avrebbero concesso la loro amicizia e confidenza.

(Nella specie, l’imputato aveva inviato lettere a terze persone fingendosi una donna vittima di violenze sessuali)” Sez. 5, n. 36094 del 27/09/2006 Rv. 235489 “Il dolo specifico del delitto di sostituzione di persona consiste nel fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio patrimoniale o non patrimoniale, ovvero di recare ad altri un danno. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata che ha ravvisato gli estremi del reato di cui all’art. 494 cod. pen. con riferimento alla condotta di un calciatore che, al fine di prendere parte ad una partita nonostante fosse stato squalificato, si era attribuito la identità di altro giocatore)” Sez. 5, n. 41012 del 26/05/2014 Rv. 260493.

E’ di tutta evidenza come la nozione di vantaggio, tracciata nelle sentenze riportate, implichi un miglioramento che non necessariamente deve essere quantificabile in termini economici ma, in senso lato, deve corrispondere ad un mutamento esistenziale percepito come positivo dall’agente o ad un accrescimento delle opportunità ( quindi l’agevolazione dei contatti in rete, la corrispondenza con persone altrimenti inavvicinabili, la possibilità di scendere in campo, l’evitare la cancellazione del proprio nome dall’elenco dei donatori di sangue).

Non si vede per quale motivo possa essere escluso dalla nozione di vantaggio, in questi termini delineata, l’avere instaurato o comunque mantenuto, per un apprezzabile lasso di tempo, una relazione affettiva e di convivenza.

2.2. Le osservazioni svolte nel ricorso, secondo cui non vi sarebbe prova del fatto che la M.M. avesse iniziato e mantenuto la relazione soltanto perché ingannata dal A.P. circa il proprio stato di uomo libero, involgono il merito della vicenda e, comunque, sono ampiamente superate dalla semplice lettura della scansione temporale degli eventi così come sopra riportata.

La convivenza inizia dopo che A.P. dice a M.M. di avere chiesto il divorzio, il concepimento del figlio avviene in concomitanza con la frequentazione del corso prematrimoniale, il rapporto si rompe inesorabilmente quando M.M. scopre che il compagno vive ancora con la moglie, da cui non si è mai neppure separato.

2.3. Quanto all’elemento soggettivo del delitto di cui all’art.494 c.p., esso si connota in termini di dolo specifico e nella sentenza impugnata si sostiene che tutto l’agire dell’imputato sia stato volto alla costituzione ed al mantenimento della relazione affettiva e di convivenza con la M.M..

Replica il difensore dell’imputato utilizzando gli stessi termini impiegati nella sentenza impugnata, vale a dire che A.P. avrebbe agito ” senza una specifica progettualità” e cioè con un atteggiamento mentale addirittura incompatibile con quello del dolo specifico.

In realtà, la locuzione riportata non significa che A.P. non si ripropose, attraverso la condotta mistificatoria, di mantenere la relazione con la M.M. quanto piuttosto che i suoi progetti erano tutti a breve termine ed egli non aveva idea, nel lungo periodo, di come avrebbe fatto a risolvere la situazione creatasi fra la moglie legittima e la compagna di vita.

Ciò non esclude, all’evidenza, la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato che si configura semplicemente nell’avere avuto di mira un vantaggio nei termini più sopra delineati.

  1. Quanto agli addebiti di falso, pare opportuno specificare che la condanna è stata confermata, all’esito del giudizio di appello, in relazione a tre distinti atti:

– una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà datata 5.3.10, in cui si attesta che il 27.9.06 è stata pronunciata dal Tribunale di Milano sentenza di divorzio passata in giudicato il 28.9.09

– un certificato anagrafico apparentemente rilasciato dal Comune di Bergamoservizi demografici- con false indicazioni circa la residenza, lo stato di famiglia e lo stato civile

– un certificato di battesimo ad uso matrimonio apparentemente emesso il 14.11.09 dalla parrocchia di Granarola di Gradara.

Tali atti, la cui falsità non è in discussione, sono stati consegnati dall’imputato al parroco della chiesa ove frequentava il corso prematrimoniale ed erano stati inseriti in un fascicolo, denominato “processicolo”, contenenti gli atti funzionali alle pubblicazioni matrimoniali ed alla celebrazione del rito religioso con effetti civili.

3.1. La difesa non contesta la correttezza del principio enunciato dalla Corte d’Appello, secondo cui hanno natura giuridica di atti pubblici gli atti interni ad un procedimento amministrativo, cioè quelli che si collocano in una sequela procedimentale complessa e prodromica all’adozione di un provvedimento finale destinato ad assumere valenza probatoria di quanto accertato In tale ottica, gli atti indicati nell’imputazione, in quanto collocati nel “processicolo”

ove era istruita la pratica che avrebbe portato alle pubblicazioni di matrimonio, assumono il carattere di atti pubblici.

Sostiene, tuttavia, la difesa che il “processicolo” non aveva né poteva avere alcun esito, in quanto il parroco, avuto sentore della mistificazione, aveva congelato la pratica il 27.2.10, sicché gli atti inseriti nel fascicolo nei giorni successivi ( quindi la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà e, secondo una valutazione favorevole all’imputato, anche il certificato anagrafico) non potevano essere definiti atti interni di un procedimento amministrativo che sarebbe culminato con l’adozione di un atto amministrativo.

L’argomento non è fondato, posto che l’intervenuto congelamento della procedura non implica il venir meno della stessa ma semplicemente una situazione di stallo che può essere risolta nel senso di un annullamento ma anche di una prosecuzione.

Gli atti inseriti nel “processicolo” non hanno quindi perso la loro specifica natura di atti interni di un procedimento amministrativo a motivo di un provvedimento di sospensione del procedimento ( tale è da ritenere il “congelamento”), per sua natura transitorio.

3.2. Quanto alla pretesa attribuzione a tali atti del carattere di falso grossolano, va ricordato , in primo luogo, che l’apprezzamento della grossolanità del falso costituisce valutazione di merito in relazione alla quale, se adeguatamente motivata, non è possibile il vaglio di legittimità.

La grossolanità del falso esclude la punibilità del fatto solo quando si risolva in unainidoneità assoluta del mezzo, quando cioè resti esclusa non la semplice probabilità ma addirittura la possibilità dell’inganno e, quindi, del nocumento alla pubblica fede (Sez. 5, n. 6873 del 06/10/2015 dep. 22/02/2016, Rv. 266417 in motivazione).

Alla luce di tale principio si comprende il motivo per cui la Corte d’Appello ha ritenuto non punibile la falsificazione della dichiarazione di nullità matrimoniale del Tribunale Apostolico, contenuta in un foglio privo di intestazione e di quei minimi elementi che lo rendessero simile ad un atto proveniente da un’Autorità.

Diversa è la situazione per quanto riguarda gli altri atti; la loro falsità poteva emergere da alcuni dettagli ( l’essere stato rilasciato da un commissario straordinario e non dal sindaco e l’essere privo di data per quanto riguarda il certificato dell’anagrafe; la scansione temporale del divorzio e dell’irrevocabilità della sentenza per quanto riguarda la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà) ed essere percepita da un osservatore che si fosse soffermato sui particolari, non certamente a seguito di un esame superficiale.

Non è rilevante, al fine di stabilire se si verta in una ipotesi di falso grossolano, che il parroco si sia o meno insospettito circa la regolarità dei documenti “In tema di falso, la valutazione dell’inidoneità assoluta dell’azione, che dà luogo al reato impossibile, dev’essere fatta “ex ante”, vale a dire sulla base delle circostanze di fatto conosciute al momento in cui l’azione viene posta in essere, indipendentemente dai risultati, e non “ex post”; tale principio riguarda, peraltro, i casi in cui il falso sia stato scoperto e si discuta se lo stesso fosse così grossolano da dover essere riconoscibile “ictu oculi” per la generalità delle persone, ovvero sia stato scoperto per effetto di particolari cognizioni o per la diligenza di determinati soggetti, non anche quelli in cui il falso non sia stato scoperto ed abbia prodotto l’effetto di trarre in inganno, nei quali, quindi, la realizzazione dell’evento giuridico esclude in radice l’impossibilità dell’evento dannoso o pericoloso di cui all’art. 49 cod. pen” (Sez. 2,n. 36631 del 15/05/2013 Rv. 257063).

Le peculiarità che, secondo la difesa, avrebbero dovuto far emergere in modo lampante ed agli occhi di chiunque la falsificazione dei documenti, in realtà, tali non sono e l’idoneità decettiva deve essere valutata con riferimento alla generalità delle persone.

La falsità del certificato di battesimo è penalmente rilevante pur se A.P. non aveva alcun bisogno di falsificare l’atto, essendo stato effettivamente battezzato e cresimato; il movente che lo ha indotto ad operare la contraffazione è assolutamente irrilevante ai fini della configurabilità del reato.

  1. Per quanto riguarda le doglianze relative alla mancata concessione delle attenuanti generiche, va ricordato che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione ( Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010 Ud. Rv. 248244).

Entrambe le sentenze di merito hanno stigmatizzato, lungo tutto il percorso motivazionale, la gravità della condotta del A.P. e la sua negativa personalità, evidentemente ritenendo tale sfavorevole giudizio ostativo del riconoscimento delle attenuanti generiche.

4.1. Quanto al trattamento sanzionatorio, i motivi di ricorso sono inammissibili per genericità e, comunque, la Corte territoriale ha dato sinteticamente conto delle ragioni che l’hanno indotta a confermare la pena inflitta dal primo giudice, il quale, dal canto suo, aveva enunciato i motivi per cui aveva ritenuto di infliggere una pena superiore al minimo edittale.

  1. Il motivo relativo alle statuizioni civili è inammissibile, in quanto non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata (Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015 Rv. 263486; Sez. 5, n. 32899 del 25/05/2011 Rv. 250934).

Le ulteriori doglianze relative alla esistenze e all’ammontare del danno sono del tutto generiche.

  1. Al rigetto del ricorso segue la condanna al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese di difesa delle pari civili che si ritiene equo liquidare, tenuto conto del numero di parti e della complessità della vicenda, in euro 3.000.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè delle spese di difesa delle parti civili che si liquidano in euro 3.000 oltre accessori.

Così deciso il 15 giugno 2016″

Gian Maria Pallottini

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